comeItaliani

Italia unita … per la gola!

Quest’anno l’Italia festeggia i 150 anni della sua unità, ma quello che forse non tutti sanno è che quest’anno ricorre anche il centenario della morte di un uomo che in un modo insolito unì l’Italia più di quanto leggi e decreti non siamo riusciti a fare. Si tratta di Pellegrino Artusi, autore de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene.

Ma prima di parlare del libro soffermiamoci brevemente sul suo autore. Uomo di scienza e di cultura, raffinato critico letterario, nazionalista e buongustaio Pellegrino Artusi trascorse la vita fra la Romagna e la Toscana.

Nato a Forlimpopoli, trascorse una giovinezza agiata grazie alla drogheria ben avviata del padre. Nel gennaio del 1851 la tranquilla vita della famiglia Artusi però fu stravolta dell’incursione della banda del brigante Passatore, che rapinò le famiglie benestanti della città, inclusa quella del droghiere, e stuprò Gertrude, una delle sorelle di Pellegrino, che impazzì per lo shock e dovette anni dopo essere ricoverata in manicomio.

A seguito di questo evento la famiglia si trasferì a Firenze. Morti i genitori e sposate le sorelle, Pellegrino condusse la sua esistenza fino alla sua morte nel 1911, scapolo, in una casa di piazza d’Azeglio in compagnia di un cuoco, della cameriera e dei suoi gatti Biancani e Sibillone. In questi anni si dedicò alla letteratura pubblicando alcuni saggi fra i quali una biografia del poeta Ugo Foscolo e una critica di trenta lettere di Giuseppe Giusti. Compose inoltre una autobiografia che restò, volutamente, soltanto manoscritta.

Non si può quindi certo definire un cuoco, e è infatti da appassionato profano che Pellegrino si mise a raccogliere ricette provenienti da tutta Italia. Ma non solo: ogni ricetta veniva provata e riprovata nella sua cucina, e solo quando aveva raggiunto la perfezione culinaria veniva trascritta sul manuale, accompagnata da riflessioni ed aneddoti narrati con quello stile arguto e scorrevole che costituiscono uno dei punti di forza di questo libro.

L’Artusi si applicò con criteri scientifici ed igienici all’arte culinaria, non a caso il libro si intitola La Scienza in Cucina e l’Arte di mangiare bene: per l’autore infatti era giunta l’ora di collegare la cucina, fino ad allora dominio di professionisti o di ignote massaie, ai sempre più tangibili progressi della scienza. Per questo, con una intuizione modernissima, egli dedica un capitolo iniziale ad “alcune norme d’Igiene”, ed in una appendice delle ultime edizione aggiunge addirittura un capitolo di “cucina per gli stomachi deboli”.

(continua)

Ma il merito principale che viene riconosciuto a questo libro, è quello di aver posto le basi per la formazione della cucina nazionale italiana e, in ultima istanza, di una coscienza nazionale. Il libro vede la luce in un periodo in cui l’Italia era unita più “di diritto” che “di fatto”.e anche la lingua italiana era più un fatto culturale possesso di una ristretta elite che lingua del popolo. Con l’uso della lingua italiana l’Artusi si mette al di sopra di ogni regionalismo e riesce, spesso inconsapevolmente, ad educare ed unificare la lingua di molti italiani e molte italiane. Inoltre l’autore raccoglie ricette culinarie provenienti da tutte le regioni italiane: con la sua diffusione capillare nelle case degli italiani portò un rimescolamenti dei gusti e soprattutto la consapevolezza che esisteva un’altra Italia al di là dei confini della propria città, provincia o regione, fatta di usi, gusti e costumi diversi, ma pur sempre Italia.

Nonostante questi indubbi pregi, la storia di questo libro fu come la storia di Cenerentola, che da ragazza povera e maltrattata, diventa alla fine principessa grazie alla sua bontà ed ai suoi meriti. L’Artusi infatti fu costretto a finanziarsi la stampa del libro perché nessun editore voleva assumersi il rischio di finanziarlo, con la scusa che l’autore non era un addetto ai lavori. Inizialmente anche la distribuzione fu particolarmente complessa: chi voleva acquistare l’opera infatti doveva scrivere direttamente all’autore e farsene spedire una copia per posta, oppure rivolgersi all’editore.

Piano piano però il libro cominciò ad essere conosciuto e venduto, tanto che fu necessario predisporne altre edizioni. L’Artusi curò e ampliò ogni riedizione, tanto che in venti anni le ricette passarono da 450 a 790.

Dopo la morte dell’autore il testo non subì più alcuna modifica ma ha continuato ad avere un enorme successo. Col passare degli anni infatti divenne un testo immancabile in ogni cucina italiana, tanto da essere presente nei corredi di nozze delle giovani spose. Fu il libro più letto dagli italiani insieme a Pinocchio del Collodi, ai Promessi Sposi del Manzoni e a Cuore di De Amicis. Oggi è uno dei libri italiani più diffuse nel mondo, tradotto in molte lingue:
inglese, spagnolo, tedesco, olandese, francese, portoghese e a breve anche in giapponese. Ad oggi conta più di 130 edizioni con milioni di copie vendute, e, scritto più di un secolo fa, è ancora talmente attuale da essere denominato usualmente “l’Artusi”.

Pellegrino Artusi riposa a Firenze nel Cimitero monumentale de “Le Porte Sante” a San Miniato, situato entro il bastione fortificato dell’Abbazia di San Miniato al Monte.

Nella prossima pagina un assaggio di un dolce che in questo periodo è un classico della cucina toscana.

(continua)

240. MIGLIACCIO DI FARINA DOLCE VOLGARMENTE DETTO CASTAGNACCIO

Anche qui non posso frenarmi dal declamare contro la poca inclinazione che abbiamo noi Italiani all’industria. In alcune province d’Italia non si conosce per nulla la farina di castagne e credo che nessuno abbia mai tentato d’introdurne l’uso; eppure pel popolo, e per chi non ha paura della ventosità, è un alimento poco costoso, sano e nutriente. Interrogai in proposito una rivendugliola in Romagna descrivendole questo migliaccio e le dimandai perché non tentava di guadagnare qualche soldo con questo commercio. – Che vuole, mi rispose, è roba troppo dolce, non la mangerebbe nessuno. – o le cottarone che voi vendete non sono dolci? eppure hanno dello smercio, diss’ io. Provatevi, almeno, soggiunsi; da principio volgetevi ai ragazzi, datene loro qualche pezzo in regalo per vedere se cominciassero a gustarlo, e poi dietro ad essi è probabile che a poco a poco si accostino i grandi. Ebbi un bel dire; fu lo stesso che parlare al muro.

Le cottarone, per chi non lo sa, sono mele o pere, per lo più cascaticce, cotte in forno entro una pentola nella quale si versa un gocciolo d’acqua, coprendone la bocca con un cencio bagnato. Veniamo ora alla semplicissima fattura di questo migliaccio.

Prendete grammi 500 di farina di castagne e siccome questa farina si appasta facilmente passatela dal setaccio prima di adoperarla per renderla soffice; poi mettetela in un recipiente e conditela con uno scarso pizzico di sale. Fatto questo, intridetela con 8 decilitri di acqua diaccia versata a poco per volta onde ridurla una liquida farinata, in cui getterete un pugno di pinoli interi. Alcuni aggiungono ai pinoli delle noci a pezzetti, altri anche dell’uva secca e, sopra, qualche fogliolina di ramerino.

Ora prendete una teglia ove il migliaccio venga grosso un dito e mezzo all’incirca, copritene il fondo con un leggiero strato d’olio, ed altr’ olio, due cucchiaiate, spargetelo sulla farinata quando è nella teglia. Cuocetelo in forno o anche in casa fra due fuochi e sformatelo caldo.

Con questa farinata si possono fare anche delle frittelle.

Buon appetito!

Scarica l’articolo: Italia unita ... per la gola! (1874 download)

Exit mobile version